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La visita dell'arcivescovo di Milano al Sacro Cuore: un inizio in comunione con la Chiesa

02 Ottobre 2018

L’avvio di un anno di cammino insieme è stato segnato da un dono speciale: lo scorso 18 settembre, a pochi giorni dall’inizio della scuola, abbiamo accolto l’Arcivescovo di Milano, S.E. Mons. Mario Delpini, in visita alla Fondazione Sacro Cuore.
Accogliere e incontrare l’Arcivescovo ha significato per noi la visita di Cristo attraverso un nostro padre nella fede, e ci ha permesso di vivere un’esperienza di paternità e di sentire la nostra opera educativa in comunione con la Chiesa.

 

Mons. Delpini ha trascorso con noi l’intera mattinata: ha dialogato con i ragazzi del triennio dei licei rispondendo alle loro domande; ha incontrato i bimbi più piccoli della scuola dell’infanzia, che hanno cantato per lui la preghiera del mattino; è entrato nelle classi della scuola primaria, dove alcuni bambini gli hanno consegnato un biglietto con le loro foto e i loro pensieri, e i grandi di quinta lo attendevano trepidanti in corridoio sapendo che – come aveva spiegato don Pepe il giorno prima – avrebbero incontrato il successore di Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo. Infine ha celebrato la Santa Messa di inizio anno con tutti gli studenti, gli insegnanti e il personale della scuola.

Il dialogo con i liceali è stata un’occasione particolarmente preziosa per i ragazzi e per tutti i docenti: gli studenti hanno posto con serietà moltissime domande all’arcivescovo sulla fede, sulla responsabilità dei cristiani nella società, sulla vocazione, sul ruolo e l’immagine della Chiesa, mettendo in gioco se stessi e la loro esperienza personale.
Con il suo linguaggio semplice e diretto, Delpini ha risposto a tutti offrendo una vera e propria catechesi, capace di affrontare temi molto complessi con parole non scontate e con impressionante chiarezza di giudizio.

Perché bisognerebbe credere? Come rendere la fede un’esperienza viva e personale e non solo una tradizione ricevuta, anche in un mondo dove spesso, come cristiani, non ci sentiamo capiti?
Domande profonde e vere, a cui l’arcivescovo ha risposto specificando la natura della fede cristiana: “Noi crediamo in Gesù, in quello che Gesù ci ha rivelato, e quindi la nostra fede, se è fede e non è una teoria, non è neanche semplicemente un'esperienza, un’emozione che provo perché partecipo a un gruppo, perché cantiamo insieme, perché siamo coinvolti... La fede è la mia fiducia che Gesù è il mio Salvatore, che se io non credo in Lui muoio, che se noi non abbiamo una speranza di vita eterna vuol dire che siamo condannati a morte”. Tutto sta nella decisione di fronte a questa alternativa, nella decisione che c’è una promessa affidabile di vita.
Ma l’esistenza di Dio non si dimostra con la scienza... – ha obiettato qualcuno.
L’esistenza di Dio – ha precisato Delpini - non si può dimostrare con la fisica o con la chimica, ma si può dimostrare la vicenda storica di Gesù, che Gesù è esistito”. Tuttavia ciò non basta, perché “la fede non viene dal carattere cogente di un’argomentazione, ma viene da una libertà che dice “Io credo che questa è la vita eterna, che qui c’è una risposta”: è una scelta personale che ha bisogno che tu compia un cammino, che tu ponga le domande e ascolti le risposte, leggendo il Vangelo devi verificare come le tue domande si incontrano con la vita e le risposte di Gesù.
E come porsi di fronte al dolore, che tante volte pare un’obiezione contro Dio? “Guardiamo Gesù – ha invitato l’arcivescovo – che è entrato nella storia e ha preso su di sé il dolore. Perciò il dolore non è un’obiezione contro Dio, ma è un contesto in cui vivere da figlio di Dio, perché, come dice San Paolo nella Lettera ai Romani “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”. Perché la vita cristiana è una continua occasione per amare, anche nel dolore, e per esprimere l’amore verso Dio fino alla fine, come ha fatto Gesù.

Come stare di fronte a chi non è cristiano – hanno chiesto ancora i ragazzi - e come costruire in una società che ha abbandonato la fede e da cui ci si sente distanti e non compresi?
Innanzitutto avendo stima di sé – ha detto l’arcivescovo - perché “Dio ha stima di te, quindi tu puoi aver stima di te, hai degli argomenti da dire agli altri, ma devi anche avere stima degli altri: Un cristiano guarda gli altri e pensa che siano anche loro chiamati ad essere figli di Dio. Magari non lo sanno, addirittura si ribellano all’idea di Dio, ma io so che anche negli altri c’è un desiderio di felicità, di verità, di bene”.
Il cristiano poi, è chiamato a vivere onestamente “non perché abbiamo un precetto, ma perché sappiamo che dobbiamo rendere conto a Dio”, e non dobbiamo aver paura di dire sempre ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, “non cambiare la nostra idea soltanto perché è sconveniente o perché è impopolare, senza mai censurare le domande fondamentali sul bene e sul male, sulla vita e sulla morte, su che cos’è l'amore”.
Anche la scuola cattolica – ha sottolineato Delpini - ha una grande responsabilità nei confronti della società: promuove una cultura realistica che non fa selezioni ideologiche, e, come istituzione, ha anche il compito di essere una rivendicazione della libertà di educazione”.

Le molte domande dei ragazzi sulla vicenda personale dell’arcivescovo hanno fatto emergere potentemente il problema della vocazione personale e del criterio con cui affrontare le scelte future. “Fate attenzione – ha esortato Delpini – a non confondere la vocazione con la predestinazione. La vocazione è la vocazione alla fede, cioè è la rivelazione che quello che Dio vuole è che tu sia felice, è che tu sia figlio di Dio, è che tu vada in Paradiso. Non lo scoprire ciò che Dio ha già deciso per me”. E per spiegare questo passaggio l’arcivescovo ha portato ai ragazzi la sua esperienza personale: una vocazione al sacerdozio nata da un fascino iniziale verso un certo tipo di vita, e diventata poi in seminario scelta consapevolmente cristiana, cioè un “modo di amare come ama Gesù, che costruisce il desiderio di Dio che gli uomini possano essere felici”.

Ripartiamo più certi, pronti a paragonarci ancora con le parole del nostro arcivescovo, perché il nostro lavoro a scuola possa farci scoprire che, come ha sottolineato il Rettore alla conclusione “noi capiremo la valenza della fede, saremo interessati alla fede solo se capiamo che introduce una profondità e una grandezza alle scelte, alle cose che viviamo normalmente: amore, studio, amicizia, rapporti, famiglia, rapporti col mondo, con la politica, che cambia veramente. Se no la fede cosa sarebbe? Sarebbe una decorazione, una cosa aggiunta, che non ha senso”.

 

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